“Basterebbe Arezzo alla gloria d’Italia”. Quante volte abbiamo citato questa frase dell’insigne poeta Giosuè Carducci. La nostra città, una piccola perla incastonata tra quattro vallate è, in effetti, ricca di storia, cultura e tradizioni: tra queste la Giostra del Saracino è sicuramente quella che da tempo infervora gli animi di coloro che la vivono e ne prendono parte. Sulla manifestazione c’è tanto da approfondire, tanti argomenti da affrontare e tra questi lo scenario dove essa ha luogo ogni anno. Come in un teatro gli attori non andrebbero in scena senza un palco e in un cinema un film non sarebbe proiettato senza uno schermo, così la Giostra non potrebbe svolgersi senza piazza Grande.
Per aretini e turisti questo luogo si rivela ogni volta una meraviglia da ammirare in ogni momento dell’anno, affascinante a qualsiasi ora del giorno quando viene illuminata dal riverbero della luce solare. La sua bellezza aumenta quando, durante il periodo della Giostra del Saracino a giugno e a settembre, viene “vestita” con gli scudi che riportano tutti i simboli dei quattro quartieri: Porta Crucifera, Porta Sant’Andrea, Porta Santo Spirito e Porta del Foro. Ma come era prima di vederla così come è oggi? A questo proposito è doveroso approfondire con qualche cenno storico e per capire quale sia stata l’importanza di questa piazza bisogna volgere lo sguardo molto indietro fino ai tempi degli etruschi. Più in alto dell’attuale piazza Grande si ergeva la cittadella etrusca e successivamente quella romanica che a causa delle scorrerie dei barbari furono distrutte; scendendo giù a valle c’era invece l’antica platea “communis” poi divenuta piazza Grande. Il libro di Enzo Piccoletti, “Terra d’Arezzo un Cantico”, dedica un paragrafo proprio a questo argomento, descrivendo la piazza prima che Giorgio Vasari aggiungesse quel famoso loggiato che tutti noi oggi possiamo ammirare. In passato nella piazza “pascolavano tranquillamente dei pastori con pecore e maiali, infatti ne prese il nome (piazza dei Porcum) e in caso d’invasioni, vi mettevano le tende le soldataglie invadenti. Nell’alto di San Niccolò, Colcitrone (Colle Citrones) fortilizi etruschi sormontavano la città, seguendo per Borgunto. Proprio sul quel lato prospiciente doveva nascere la cittadella Mediovale, infatti il palazzo del comune detto dalla terra Rossa era stato costruito nella piazza (porcum) del vecchio mercato dei porci.”  Questa descrizione ci permette, chiudendo gli occhi, di provare ad immaginare i luoghi che conosciamo e pensarli in maniera differente. Ma più nello specifico come e quando è diventata così importante la piazza? A livello temporale ci proiettiamo nell’XI secolo, quando divenne scenario di riunioni di rilievo: a questo proposito, una curiosità da approfondire è sul nome della colonna che vediamo nella parte alta della piazza, la “colonna infame”, dove oggi l’Araldo, voce della Giostra del Saracino si posiziona durante la manifestazione per parlare alla città. Il termine infame deriva dal fatto che proprio su quella colonna venivano esposti alla mercé del popolo i rei confessi. Camminando avanti negli anni e avvicinandoci alla fisionomia che la piazza assume oggi, bisogna arrivare al 1573 quando Giorgio Vasari “diede inizio ai lavori per la costruzione delle logge cambiandone la fisionomia della piazza, che prima troppo ampia e poi più piccola, ma più armoniosa..da levante troviamo il palazzo e la torre Lappoli, insieme a casette del 1300 con caratteristici balconi in legno e a sud palazzo Brizzolari (anticamente palazzo della famiglia Faggiuola, quando Ugoccione era podestà di Arezzo), ad ovest l’abside della Pieve, e il palazzetto della Fraternita, infine a nord il centro della vita cittadina rappresentato dalle logge, dove le più ricche botteghe vi trovavano posto per i mercati e il passeggio della nobiltà. Era proibito, per la plebe sostare e transitare sotto le logge, pena la fustigazione”( tratto dal libro “Terra d’Arezzo un cantico”). La piazza comincia così ad essere similare a quella che vediamo oggi, ma quando iniziò ad essere il “palco ufficiale” del torneo giostresco? Siamo nel 1931, quando si disputa la prima giostra dell’età contemporanea organizzata dall’Opera Nazionale del Dopolavoro e grazie al podestà Pier Ludovico Occhini che scelse piazza Grande come scenario più adatto allo svolgimento della manifestazione. La differenza era che la carriera del giostratore a cavallo, non veniva corsa sulla lizza che oggi va dal pozzo fino alla parte alta della piazza, ma veniva effettuata inizialmente lungo quella che oggi conosciamo come Via di Seteria, salendo verso via Borgunto. Questo breve  excursus storico serve per capire l’importanza del valore che un luogo assume attraverso la sua trasformazione nel corso del tempo. Mettendoci al centro del cerchio bianco nella piazza, girando su noi stessi, possiamo osservare con più attenzione ogni dettaglio che rende oggi questo posto così meraviglioso; con un piccolo sforzo, se chiudiamo gli occhi e proviamo a fare un tuffo nel passato, riusciremo ad immaginare quanti hanno popolato quel luogo irrorandolo di gioia, tristezza, rabbia e dolore e respirando a pieni polmoni, percepire i luoghi vivi sentendosi, così, parte di qualcosa di più grande e meraviglioso.

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In attesa di poter rivedere la piazza gremita di gente, vi invito a pensarla come l’avete vissuta in prima persona e con un po’ di immaginazione tornare a dei piccoli momenti: il suono delle campane che riecheggia come un’eco nel silenzio, il rumore degli zoccoli dei cavalli, il suono squillante delle chiarine che contrasta con il rullare dei tamburi dei Musici e la calda voce dell’Araldo che riempie ad ogni Disfida di Buratto i vicoli della città e ricolma i nostri animi di speranza. Tutto questo per sottolineare come un luogo come piazza Grande non sia soltanto un posto da visitare ed ammirare, ma grazie alla sua storia e alle persone che lo hanno vissuto acquisisce una specie di anima che con un pizzico di attenzione si può percepire ogni volta che la attraversiamo.

Martina Andreucci