Lancia in testa. Porta del Foro non dimenticherà facilmente settembre 2025. Prima la vittoria della Prova Generale, poi il trionfo in Giostra: un doppio colpo che ha riportato entusiasmo, orgoglio e sorrisi in tutto il quartiere giallo-cremisi. Tra gli attori principali”, accanto ai cavalieri e al lavoro della dirigenza, anche una figura che molto ha significato per la preparazione dei protagonisti della Piazza: il mental coach Federico Villani. Professionista del settore, Villani ha portato nella lizza e nelle scuderie un approccio diverso, fatto di motivazione, gestione delle emozioni e cura dei dettagli invisibili, per trasformare la pressione in concentrazione e la paura in energia positiva. Una presenza di assoluta contemporaneità in un contesto fortemente legato alla tradizione, che ha saputo integrarsi con i colori e la passione di Porta del Foro.

Federico, come ha avuto inizio il tuo percorso come mental coach e cosa ti ha spinto verso questa disciplina?

Il mio percorso è iniziato nel 2011. Allepoca lavoravo in unazienda B2B, dove ottenevo buoni risultati con altrettante soddisfazioni nel mio lavoro. Tuttavia, vedevo molte persone attorno a me faticare o anche raggiungere risultati, ma vivendo costantemente in uno stato di frustrazione. Mi è venuto naturale chiedermi come avrei potuto aiutarle e la svolta è arrivata quasi per caso, grazie ad unamica che mi ha fatto conoscere un mental coach. Da lì è scattato qualcosa e ho capito che quello era il mio cammino”.

In termini concreti, in cosa consiste il lavoro di un mental coach?

E’ un lavoro totalmente concentrato sugli obiettivi, siano essi individuali o aziendali, per creare consapevolezze e costruire risultati in una dimensione che è quella del futuro, una demarcazione temporale sostanziale, che distingue questo lavoro da altre professioni. Il mental coach aiuta le persone a riconnettersi con le proprie risorse interiori, spesso già presenti ma non accessibili nel momento del bisogno. Nel mondo dello sport alleniamo concentrazione, gestione emotiva, isolamento mentale, nelle aziende il focus si concentra nella leadership, nella gestione del team e delle deleghe, e nella comunicazione. In sostanza, agiamo sulle soft skills, cioé tutte le competenze trasversali relazionali e comportamentali che influenzano il modo in cui lavoriamo e interagiamo con gli altri e che completano le hard skills, ovvero le competenze tecniche”.

Quella del mental coach è una professionalità piuttosto nuova. Esistono ancora delle resistenze riguardo una disciplina forse non esattamente compresa nelle sue finalità e magari percepita come particolarmente invasiva della personalità?

Sì, è vero, è una professione ancora poco compresa e capita di essere contattati in presenza di situazioni particolarmente complicate, quando le persone si trovano davvero in grande difficoltà. Più raramente ci si rivolge ad un mental coach con un reale desiderio di crescita. Personalmente, e particolarmente nel contesto aziendale, ho la fortuna di collaborare con realtà già solide, con un reale e consapevole obiettivo di crescita e di evoluzione. Si tratta di aziende che hanno chiaro il loro asset principale, ovvero il capitale umano. In questo senso il mio ruolo è delicato: entro in contatto con informazioni e dinamiche sensibili. Alleno le persone, comprese le più alte in carica, quelle più difficili da mettere in discussione da parte dei collaboratori, a prendere decisioni e gestire le emozioni nel modo più funzionale possibile per il raggiungimento degli obiettivi, siano essi individuali o collettivi”.

Imprese ma anche mondo dello sport. Ferma restando la personalizzazione che sta alla base dell’approccio professionale, esistono tecniche di base che lo distinguono? E nella prestazione sportiva, quanto conta la componente mentale rispetto alla preparazione atletica?

Ci sono strumenti comuni, certo. Ad esempio quelli mirati alla gestione delle emozioni e dei pensieri. Che tu stia affrontando una finale o una trattativa da milioni di euro, il funzionamento della mente umana è il medesimo, e un pensiero non gestito può sabotare la performance, rendere cioè definitiva in negativo o in positivo una prestazione. La mente poi, in una scala di ottima preparazione tecnica e fisica, fa il 51% del lavoro: una “maggioranza” che le consente di fare la vera differenza…”

Due realtà quindi, quella del mondo del lavoro e quella del mondo dello sport, che si muovono in parallelo…

Sì, esiste un vero parallelo tra sport e mondo aziendale, e sta tutto nella mente. La mente è sia freno che acceleratore. I pensieri e gli atteggiamenti influenzano in modo diretto i risultati, tanto per uno sportivo quanto per un imprenditore. Le decisioni di un AD, per esempio, sono fortemente condizionate dallo stato emotivo in cui si trova. Lavorare sulla qualità dei pensieri significa migliorare la qualità delle azioni, delle relazioni e, quindi, dei risultati”.

Il mental coaching aiuta anche ad accettare una sconfitta?

Assolutamente. Nel mio approccio non si vince o si perde, ma si vince o si impara. Ogni risultato, anche negativo, è unoccasione di crescita se affrontato con la giusta mentalità”.

E veniamo al mondo della Giostra, un mondo che tu conosci ormai da qualche anno. Come si integra una figura contemporanea” come la tua in un contesto così profondamente legato alla tradizione?

La Giostra, prima ancora di essere tradizione, è prestazione. E in ogni prestazione, la componente mentale, ripeto, è cruciale. La mente deve essere allenata per entrare in uno stato di flusso in modo automatico, indipendentemente dalle pressioni esterne e in Giostra, contrariamente alle discipline sportive alle quali per molti versi può essere avvicinata, non esiste un secondo tentativo: si lavora un anno per giocarsi tutto in pochi secondi. Acquisire consapevolmente concentrazione e determinazione non cozza con la ritualità della tradizione ma perfeziona le performance”.

Un messaggio recepito pienamente quest’anno da Porta del Foro…

Sono arrivato al Quartiere giallo-cremisi grazie a persone che già conoscevano il mio lavoro, a cominciare dallallenatore Enrico Vedovini, con il quale vincemmo la Giostra del 2015 con 3 cinque consecutivi, e da Dario Tamarindi che ben conosce l’impatto del mio ruolo. Abbiamo lavorato tutti insieme, in stretta sinergia, e con il rettore Roberto Felici e il capitano Diego Giusti ci sono state subito grande armonia ed unione di intenti. Il mio compito era creare un mindset vincente, definire obiettivi individuali con ciascun giostratore, fornire feedback alla direzione tecnica e creare un contesto in cui ogni atleta potesse esprimersi al meglio, anche nei momenti più carichi di pressione. Tutto preceduto da un attento lavoro di accettazione”, perché era fondamentale che i ragazzi comprendessero che ero lì per aiutarli e che ogni nostra conversazione, ogni nostro momento insieme, sarebbero rimasti riservati. La fiducia è tutto. Senza, non si fa alcun percorso e non si ottengono benefici”.

C’è stato un momento, durante questa ultima Giostra, in cui hai realizzato limpatto concreto del tuo lavoro sul risultato di Porta del Foro?

La consapevolezza del mio ruolo lho avuta già prima. Sapevo che il lavoro fatto sarebbe stato determinante. Quello che mi colpisce, semmai, è quanto ancora non si comprenda limportanza dellallenamento mentale per affrontare momenti di altissima pressione oppure quando si vogliono ottenere risultati migliori: se, a parità di allenamento tecnico, la mente conta per il 51%, allora perché non dedicarle almeno la stessa attenzione? Tutti i ragazzi si sono allenati molto bene. Francesco (Rossi ndr), ad esempio, ha fatto un percorso strepitoso. Era pronto, lucido, consapevole. Quella domenica avrebbe potuto essere infinita, tanto era centrato sull’obiettivo”.

Federico, vivi anche tu le emozioni della Giostra?

Sì, certo. Conosco la Giostra da oltre dieci anni, e ogni volta è una grande emozione. Quando lavoro con i ragazzi, mi sento parte del gruppo. Vivo le loro ansie, le loro gioie, i loro sacrifici. Per me è una cornice straordinaria con un quadro eccezionale: la passione che la città di Arezzo mette in questa manifestazione è contagiosa”.

A proposito, che rapporti hai con la città?

Vengo da Reggio Emilia, una città intraprendente e laboriosa, e vedo molte affinità con Arezzo. Vivo in provincia di Siena, vicino ad Arezzo ed amo il modo in cui gli aretini si impegnano, il loro equilibrio tra voglia di fare e piacere del vivere. Collaboro con molte aziende del territorio e mi trovo benissimo sia con gli imprenditori sia con i loro team. Arezzo è una città dove torno e sto sempre con grande piacere”.

Un’ultima domanda. Cosa ti ha lasciato questa vittoria di settembre con il Quartiere della Chimera?

Una gioia immensa. Per i ragazzi, per le scuderie, per tutto il quartiere. Ma soprattutto, ha lasciato consapevolezza: sapere chi siamo davvero, e quanto valiamo, è una base su cui costruire il futuro. Il mio lavoro offre strumenti per cambiare prospettive, per liberarsi da alibi, per scegliere come reagire. Solo così si può dare davvero il proprio 120%, senza rimpianti. E se si perde, si impara per diventare migliori, anche prendendo lezione da chi è stato più forte di noi. Fa parte del gioco”.

Quindi, se la testa fa la differenza, a Porta del Foro sembrano aver trovato la formula giusta: un mix di cuore, tecnica, allenamento, concentrazione, motivazione e, perché no, un pizzico di psicologia vincente. Villani docet.

di Barbara Bianconi