Qualcuno ha storto un po’ il naso che una Giostra così importante fosse dedicata ai 700 anni dalla morte di Dante Alighieri. Le rimostranze si poggiavano principalmente a ragioni campanilistiche, fino a vedere nel sommo poeta non solo un forestiero, ma un nemico fiorentino.

Beh, sarebbe sicuramente piaciuto che Dante avesse avuto origini aretine e che coppia… Dio mi perdoni l’accostamento… di giostratori della letteratura avrebbe formato con Petrarca, ma tutto non si può avere.

Chi fu Dante in vita e i suoi trascorsi tutti li conosciamo, compresa la sua partecipazione come fenditore alla battaglia di Campaldino. Quindi sì, Dante di Arezzo fu nemico non solo per origini, ma anche nei campi di battaglia, anzi, nella battaglia che più ci fa ancora arrabbiare per il suo esito a distanza di secoli. A questo non si può negare che la sua fiorentinità, città che ci ha tolto la libertà e gli onori per secoli, distrutto il Duomo vecchio del Pionta e la cittadella medievale, nonché sottratto simboli delle nostre migliori ere e arti quali la Minerva e la Chimera, aggiunga solo sale alla ferita.

Certo altrettanto però l’Alighieri non possiamo limitarlo alla sua partigianeria nativa, ma quanto più immenso e imparagonabile simbolo italiano, volendo toscano. Questo non solo come facilmente intuibile per la risonanza delle sue opere, ma proprio per i suoi trascorsi umani e terreni emblema dei pregi, dei difetti, delle virtù e delle mancanze tipiche nostre.

Dante rappresenta un’epoca tanto gloriosa quanto drammatica e lacerante della storia di tutti noi. Quel Medioevo in cui vollero ambientare la Giostra novant’anni fa e che vide Arezzo risplendere con il suo libero Stato, coi suoi Vescovi guerrieri, con le sue arti e maestranze, con la sua classe nobiliare cavalleresca temuta in tutta la penisola. Con la sua università, una delle più antiche d’Europa, con le sue, le nostre, chiese e opere pie guidata dalla amata Fraternita dei Laici.

Altrettanto porta la sua memoria alle divisioni di fazioni, all’odio di parti, agli esili, agli egoismi. Quanto Dante vi fosse invischiato è risaputo al di quanto fosse il pragmatismo suo auspicante una visione unitaria italica, pensiero ante litteram visionario. E quanto questo sia assimilabile alla terra nostra, la storia ne è testimone.

Di Dante, destino persino dei più grandi, oggi di concreto non rimangono altro che le ultime spoglie conservate, a memoria della stupidità o dell’ineludibile umano, lontano dalla sua terra natia, morto come fu da esule. Più volte la perfida… Firenze ha richiesto le sue spoglie, ma sempre gli sono state negate. Perché di Firenze fu cittadino, di Italia figlio.

Di Arezzo medievale, della sua grandezza etrusca e romana ci rimangono pochi ricordi, ben poca cosa rispetto al patrimonio che siamo stati, volendo pure questa assonanza con la storia del Poeta. Entrambi per conoscere della nostra grandezza, di ciò che siamo stati, ci rimane il racconto della scrittura a colmare l’assenza delle pietre.

La Giostra del Saracino di Arezzo ne vuole essere il sunto: festa di gloria, memoria e storia. Torneo cavalleresco corso da cavalieri lanciati al galoppo armati di lunga lancia e stretti in luccicanti vesti, attorniati dai propri popoli ammiranti e spasmanti di vittoria, proprio come fecero i nostri avi nella piana del Casentino. Proprio come Dante da parte avversa fu cavaliere di lancia e certo anche lui a giostre tornei avrà partecipato.

Certamente, se pur forestiero, se oggi vedesse la nostra festa ne sarebbe entusiasta e chissà se avrebbe avuto l’ardire di sfidare il tremendo Moro e le ire del suo mazzafrusto.

Dante di certo passò e conobbe Arezzo, a lui e a lui, eterna consacrazione, si annoverano le più famose terzine dedicate alla nostra costumanza dei torneamenti.

La Giostra è quindi veste di cui Arezzo si ammanta per i giorni più belli dell’anno, simbolo partigiano di territorialità. Ma al pari, come ogni Elena aspira vuole essere ammirata e riconosciuta e conosciuta la più bella tra le belle. Dante si fiorentino, quanto mai ancora più toscano e italiano volle sicuro riconosciuto il suo talento primo tra i primi. Lui ci è riuscito, che sia da auspicio per la nostra festa lo speriamo.

Non sarà quindi una Lancia d’Oro qualunque, sarà quella del sorpasso, sarà quella che aprirà il decennio che porterà alle cento candeline, sarà quella narrata con la lirica di Dante.

Perché come dopo ogni emozione di una recita della Commedia, il giorno 6 tutto verrà smontato, rimarrà solo nei ricordi ripercorribili negli scritti e nelle istantanee delle emozioni, tranne che per una Lancia, eternamente dedicata ad un cavaliere italiano riportate le sue parole di più di 700 anni fa:

“… corridor vidi per la terra vostra, o Aretini, e vidi gir gualdane, fedir torneamenti e correr giostra

Resterà un libro, ma di quelli che narrano una storia che non stanca mai. Eterni si rinnovano, perché vivono di tradizioni e di umanità, come la Divina Commedia la Giostra non sono ceneri da conservare, ma fuoco da rinnovare.

Riccardo Pichi