Intervista al Capitano vittorioso di Porta Crucifera Alberto Branchi

"Fare il Capitano richiede un impegno molto importante e devo valutare alla luce della mia situazione familiare e lavorativa"

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Buongiorno Capitano, congratulazioni per la splendida vittoria dello scorso 5 settembre. Rompiamo subito il ghiaccio chiedendoti quali emozioni si provano a vincere una giostra a Colcitrone e da esordiente?

L’emozione è stata tanta, anche se il periodo personale non è certo dei migliori. Questo un po’ ha mitigato l’incredibile felicità che avrei dovuto provare. Certo riuscire a dare al popolo rossoverde che rappresento una gioia così è stato davvero importante.

Questa era anche una edizione di particolare valore per la storia della Giostra essendo la 90esima dell’epoca moderna, con parità nell’albo d’oro di tre Quartieri e dopo 6 anni che Colcitrone non tornava al successo. Ti sei reso conto del valore storico dell’impresa?

Sinceramente ancora non ho metabolizzato del tutto la grandezza e l’importanza di quanto fatto in termini giostreschi. Sapevamo dell’importanza di questo appuntamento, ovviamente si entra sempre per vincere, ma sarei stato comunque contento se fossimo usciti a testa alta. Però adesso non bisogna cullarsi su quanto successo ma subito pensare al futuro e lavorare per accorciare il gap che francamente ancora c’è con altre coppie.

Cosa si prova quando si indossa il vestito rossoverde, e ancora di più da Capitano?

Io sono stato sempre emozionato qualunque costume abbia indossato. Qualunque sia il ruolo che ti chiedono di ricoprire in qualunque occasione rappresenti tutto il popolo. Il rispetto deve andare alla tua tradizione come a tutti gli altri che non si sono potuti vestire.

Tu e il Maestro d’Armi avete voluto fare il discorso agli armati in piazzetta tra la vostra gente e dopo la vittoria hai scritto la dedica: “Al popolo, con il popolo, per il popolo. La giostra è Colcitrone”. Che significato hanno tutti questi gesti?

Porta Crucifera è il suo popolo. Non c’è Quartiere più popolare e non c’è Quartiere più influenzato, nel bene e male, dal popolo stesso. E’ un rapporto viscerale importantissimo e non va mai dimenticato chi e cosa si rappresenta.

Porta Crucifera è ritornata sola in cima all’albo d’oro, di cui ne è in testa da 36 anni. Si sente questa pressione ed onore?

Io ho 37 anni, quindi praticamente sono stato primo da sempre. Si capisce da soli cosa questo significava per di più considerato che i pronostici non erano dalla nostra parte.

Questo essere da tantissimo tempo primi, abituati a vincere con costanza, è stato ad un certo punto quasi un handicap, trovandosi poi indietro rispetto agli altri?

Dobbiamo ammettere ci eravamo seduti sugli allori mentre gli altri già si modernizzavano. Noi da due consigli stiamo cercando nel minor tempo possibile di recuperare il tempo perso. Negli ultimi anni abbiamo completato l’iter per l’acquisto del campo prova e fatto tante migliorie. Nonché acquistato materiale ed attrezzature per la manutenzione. Ci tengo a ringraziare e sottolineare che questo è stato possibile grazie al sacrificio di tanti quartieristi che si sono fatti in quattro.

Avete scommesso su una coppia di giovani talentuosi che sono stati il punto fermo, ma non sono mancati cambi dirigenziali e gestionali e i risultati in piazza sono stati a volte altalenanti. Il Quartiere non ha mai però dato segni di forte protesta, possiamo dire che ha capito la scelta e ha saputo aspettare?

Si, sicuramente è un segno di maturità. Devo però dire che eravamo un po’ pochi, altri si erano defilati. Questi giostratori hanno sì avuto la nostra fiducia, ma si sono conquistati anno per anno la loro posizione da titolare. Questo è un principio per me importante perché la competizione fa parte dello sport sempre.

Venendo alla Giostra del 5 settembre è stato detto che il tiro di Vanneschi era scontato, condividi questa analisi?

Scontato proprio per nulla! Lorenzo era un giostratore che non aveva ancora vinto, per un Quartiere che non vinceva da 10 edizioni, a pari lance con altri tre Quartieri e con una piazza che è letteralmente esplosa appena si è affacciato da via Vasari. Inoltre, sembra paradossale, ma soprattutto per i giostratori più giovani abituati ad allenarsi tutto l’anno sul 5 dover andare a colpire un punto dove non ci hai mai tirato poteva creare incertezze.

Però lui è sembrato molto freddo, sicuro e senza titubanze.

Sicuramente aver avuto un cavallo come Carlito è stato un grosso vantaggio, ha reagito perfettamente a tutti i disturbi che gli hanno fatto sia quando è sceso al pozzo che nel ritorno verso il buratto, oltre che al momento della riconsegna della lancia.

Vi sarete parlati e scambiati sguardi prima del suo tiro, che sensazione avevi? 

Sinceramente trasmetteva tanta tranquillità, mi permetto pure di dire visto lo stato mentale e il binomio con il cavallo se ce ne fosse stato bisogno sarebbe stato pronto per andare al centro. Era tranquillo, ma carico e determinato.

Poi però c’è stato quel momento di tensione al momento della riconsegna della lancia alla giuria, ci puoi dire quale idea ti sei fatto?

Le responsabilità non spetta a me chiarirle. Sicuramente quello che è successo è una cosa grave, però non è espressamente proibita. Certo in quella zona c’è sempre stato il massimo rispetto e mai si era andati a disturbare un cavaliere. E’ stata quindi una provocazione e noi non siamo stati capaci fino in fondo a non abboccare.

C’è stato poi il tocco da parte di un lucco a Carlito?

E’ ovviamente figlio della situazione creatasi e assolutamente involontario, le persone non possono scomparire, non credo che siano necessarie altre discussioni.

Certo quella è una zona molto delicata. Credi che debba essere regolamentata meglio la presenza delle persone?

La regolamentazione c’è, ma soprattutto c’è questa sorta di cavalleria che ha sempre funzionato. L’importante è l’impegno che tutte le dirigenze devono assumersi e che questo rimanga un caso isolato da condannare e che non diventi un pericoloso precedente.

Questa vittoria è incontestabile, ma il livello in piazza si è confermato altissimo.

Vincere fa sempre bene, ma sappiamo benissimo che dobbiamo arrivare ad un certo livello, in questo Santo Spirito è ad un livello davvero alto. Di contro ti dico che il tiro di Rauco, anche se fosse stato solo 4, saremmo rimasti in Giostra e gli altri giostratori avrebbero avuto altra pressione e la piazza sarebbe stata più calda. Paradossalmente la situazione creatasi ha permesso agli altri giostratori di correre in maniera più tranquilla del solito.

La Giostra forse ancora non è compresa da tutti gli aretini in tutte le sue fasi, anche quelle più passionali. Si corre il rischio, evitando gli eccessi ovviamente, che la stessa perda di significato e vigoria in un ingessamento?

Noi a volte ad Arezzo ci si stupisce di cose che se le chiedessero a Siena ci farebbero una risata, e il Palio non è certo poco conosciuto o veicolo per far conoscere Siena. Ancora ad Arezzo c’è chi intende la Giostra come una cosa un po’ cafona, come una sagra magari. Il nostro compito è far comprendere a sempre più aretini il mondo giostresco, partendo dai più giovani che sono il nostro futuro. Altrimenti non cresceremo mai.

Cambiando argomento, i Quartieri per moltissimi ragazzi aretini sono frequentati solo nel periodo pre giostra, ma nutrono poco interesse per la festa intesa nel suo valore giostresco e storico. Cosa si può fare per migliorare la situazione?

Domanda che richiederebbe una risposta articolata. Sicuramente si dovrebbe dare modo ai Quartieri di crescere come punti di aggregazione. Avere il Quartiere come punto di ritrovo permette ai genitori di lasciare i ragazzi in posti sicuri e controllati. Nei Quartieri si svolgono tante attività e i ragazzi imparano ad assumersi tante responsabilità, a volte questi fattori vengono tralasciati. Certo sono portati avanti da volontari, il comune e lo Stato potrebbero aiutare con risorse maggiori.

Ora ci saranno le elezioni, intendi ricandidarti e se ti venisse chiesto saresti disposto a indossare nuovamente l’elmo di Capitano?

Non lo so ancora, sono partito quattro anni fa da cancelliere e passando da Maestro d’Armi sono diventato Capitano. Fare il Capitano richiede un impegno molto importante e devo valutare alla luce della mia situazione familiare e lavorativa. Di sicuro non sarò disposto a fare il capitano “nonostante tutto”, non è detto che in questo momento ci voglia un capitano come me, in qual caso rispetterò il ruolo e darò una mano, ma se lo farò credo di aver fatto un lavoro che mi permetta di richiedere alcune condizioni.

Riccardo Pichi