Siamo giunti a questo terzo appuntamento con la rubrica “quartieristi storici”. Dopo Mario Francoia e Franco Grotti oggi andremo ad intervistare Roberto Bisaccioni che ci parlerà della sua storia e di quella del suo quartiere, Porta Santo Spirito.
Roberto ci racconti come ti sei avvicinato al quartiere? Da chi e come si era formato il gruppo di quartieristi con i quali stavi più vicino?
Al quartiere ci sono stato fin da bambino, nella mia famiglia c’erano tanti quartieristi anche se al tempo essere quartieristi era decisamente diverso rispetto ad ora. Per me è stato quasi un automatismo, una storia nella quale ti trovi coinvolto senza rendertene conto. La consapevolezza è venuta col tempo, quando diventa una tua scelta il continuare un percorso che a quel punto è solo tuo e con questo viene anche “il gruppo” , ovvero il cercare persone con le quali pensi di avere più affinità. Io ovviamente mi trovai a mio agio con i più riottosi, quelli meno inclini ad accettare le regole e le decisioni del consiglio dell’epoca: consiglio che va detto era abbastanza dispotico, quasi elitario, nonostante la piega che aveva preso il quartiere (parlando di risultati in piazza) sollevasse più di un dubbio. Più che un elenco di nomi, che lascia il tempo che trova e rischierei pure di scordare qualcuno, preferisco ricordare il nome che ci eravamo dati e con il quale firmavamo i nostri comunicati: “I SOLITI CINQUE O SEI” anche se in realtà eravamo di più.
Cosa rappresentava il quartiere per te? Chi erano i personaggi storici del quartiere che ti hanno ispirato e fatto nascere la passione?
È una domanda che mi ha sempre messo in difficoltà e a cui fatico a dare una risposta. Magari per chi sceglie in modo autonomo di frequentare un quartiere ci può pure stare una rappresentazione più idealizzata. Per me invece è stato più semplice, mi ci sono trovato fin da piccolo e standoci tutto sommato bene anche da adulto sono rimasto, è stata una delle tante cose che la vita ti propone in maniera casuale. Poi è ovvio che se ti “ingarelli” diventa una parte importante ma non è mai stato l’unico interesse della mia vita, non sono il tipo che si dedica ad una sola cosa. Forse anche per questo sono riuscito a resistere durante gli “anni bui”, alcune persone che in quel periodo sembravano aver sposato il quartiere “finché morte non ci separi” poi sono sparite.
La passione è nata dalla mia famiglia, può sembrare semplicistico ma è così. Tempo fa girava una foto di quattro signore decisamente anziane col fazzoletto al collo che parlano fra se, una per quartiere: quella col fazzoletto giallo-azzurro è la mia mamma, credo non ci sia bisogno di aggiungere altro. Se devo citare un personaggio che ha ricoperto cariche direi Oscar Stanghini, una persona con la quale ho sempre avuto un bel rapporto, forse perché anche lui, come me, è poco incline ai compromessi. Non a caso come capitano è durato poco nonostante avesse vinto tutte le giostre del suo mandato tranne una.
Ricordi cosa hai provato la prima volta che sei entrato in piazza con il costume del quartiere?
Ero un ragazzo però ricordo tutto, anche perché in linea di massima ho sempre avuto il solito atteggiamento quando ho indossato il costume. La sfilata, l’ingresso in piazza, il ruolo che ricopri sono tutte cose importanti, da fare al meglio, ma sono tutti accessori. L’importante è la Giostra e le carriere, questa è l’unica cosa che conta, almeno a parer mio. Quindi finché non inizia la competizione sono sempre riuscito ad essere abbastanza distaccato ed a conservare ricordi più nitidi. All’annuncio della prima carriera però, ogni volta, inizia la metamorfosi…
La Giostra non ha sempre vissuto momenti di splendore, ci puoi raccontare (da quando ti ricordi) l’evoluzione che ha avuto il sentimento di amore della città nei confronti della sua manifestazione? Come sono cambiate la settimana del quartierista e la cena propiziatoria attraverso gli anni?
Secondo me la passione e l’interesse per la Giostra ci sono sempre stati, non a caso il giorno della Giostra ho sempre visto maree di gente, mentre per quel che riguarda la vicinanza ai quartieri il discorso è diverso. La situazione odierna non è neanche paragonabile, sia durante l’anno che nei giorni della festa. Nei quartieri vedevi sempre le solite facce e con qualche decina di tessere si cambiava l’esito di una votazione. All’interno dei quartieri non c’era da fare tutto ‘sto gran che, l’organizzazione dei pochi eventi e del pre-giostra erano affidate a pochi volenterosi che cercavano di barcamenarsi alla meno peggio con alterni risultati e pure le risorse, sia finanziarie che infrastrutturali, erano molto scarse. Le poche risorse venivano impiegate per l’ingaggio dei giostratori, il resto era gestito abbastanza di fantasia, della serie “con poco, fai poco”.
Adesso invece ragioni in termini di migliaia di presenze ogni sera gestite senza particolari problemi, quando ero ragazzo parlare di centinaia sembrava fantascienza. Parlando del mio quartiere è una situazione che si è innescata da metà anni novanta ed ha generato un circolo virtuoso che ha dato i risultati che sono sotto gli occhi di tutti: tutto questo è stato possibile grazie a dirigenti illuminati, Edo Gori su tutti, che hanno cominciato a pensare il quartiere in maniera completamente diversa, il resto è venuto come logica conseguenza. Il quartiere da ambiente piuttosto chiuso si è trasformato in polo di attrazione che moltiplica interessi, persone e risorse in maniera esponenziale. Fino ad allora gli spunti per frequentare un quartiere con assiduità erano veramente pochi se non eri un accanito. Quando tanti miei coetanei parlano degli “scherzi” delle “spedizioni punitive” e delle varie amenità anni’70/80 come una specie di età dell’oro faccio fatica a seguirli, penso che di fatto eri costretto ad inventarti delle assurdità per animare una situazione che era prossima al nulla, ora è proprio un’altra storia. Guardando indietro vedo che eravamo ragazzi, ma oltre a questo non vedo situazioni degne di così tanto rimpianto. Onestamente io la situazione odierna con quella di venti o trenta anni fa non ce la cambierei proprio, non sono tanto incline al rimpianti, cerco di vivere il presente ed apprezzare ciò che ho, magari non per tutti è così.
Ci racconti un aneddoto di una vittoria che ricordi con particolare piacere?
Quella del 6 settembre 1981 è sicuramente la Giostra più assurda a cui ho assistito, un sacco di lance cadute e punteggi bassissimi portarono noi e colcitrone allo spareggio con solo quattro punti ciascuno! Paolo Giusti (S.Spirito) allo spareggio perde la lancia, tutti pensiamo che è finita, a Tabanelli (colcitrone) basta tenere la lancia in mano, qualsiasi punteggio va bene. Ed in effetti la lancia rimane salda nelle sue mani… così tu te ne vai a raccattare le tue cose in modo da toglierti subito dai piedi non appena l’araldo avesse letto il punteggio. L’annuncio però non arriva e non si capisce il perché, poi dopo un tempo infinito ecco la lettura del punteggio….“ha marcato punti zero!”. Non scorderò mai quell’istante che mi sembro’ durare un tempo infinito: c’erano i nostri che esultavano, i cruciferini incazzati a protestare sotto la giuria, ed io incapace di muovermi continuavo a pensare come fosse possibile perché la riconsegna della lancia l’avevo vista con i miei occhi e zero nel cartellone non esiste! In realtà Tabanelli aveva colpito una delle ganasce della targa del buratto, una cosa credo mai vista. Si torna agli spareggi, Giusti non vuole più correre, Gamberi (che aveva perso la lancia in carriera ordinaria) si offre se gli danno il cavallo di Giusti: consultazioni, baruffe, ma si può fare, altri tre spareggi e la portiamo ai bastioni. Dico la verità, dopo l’episodio dello zero avevo la certezza che avremmo vinto noi, quando ti gira così di culo non può essere altrimenti. E cosi fu.
Ci racconti un aneddoto di una sconfitta che ricordi con particolare dolore?
Ho una memoria abbastanza selettiva che per mia fortuna tende a cancellare le sconfitte quanto prima, poi è ovvio che purtroppo qualcuna ti rimane. C’è stato un periodo dove errori di misurazione delle varie giurie ci hanno penalizzato, non solo a noi per essere sinceri, però in un modo o nell’altro te ne fai una ragione perché non dipende esclusivamente da te e non ci puoi fare nulla. Ma la sconfitta peggiore, che non digeriro’ mai, è il 26 agosto 90, lì abbiamo fatto tutto da soli regalando una lancia già vinta (dopo il IV di Tabanelli a Silvano Gamberi in ultima carriera sarebbe bastato un III per portare la lancia a casa ma nonostante il punteggio nel tabellone fosse quello giusto venne raggiunto dal mazzafrusto che decurtò il punteggio marcato in un misero I , consegnando così la vittoria a Porta del Foro) . Tra l’altro ci furono conseguenze anche di carattere legale perché a Giostra conclusa venne fuori un bel “tritio”. La vittoria avrebbe interrotto un periodo di digiuno che durava già da sei anni, ed invece una sconfitta assurda fece precipitare nel caos più totale una situazione già compromessa.
Ci racconti un aneddoto o un personaggio del quartiere che ti farebbe piacere ricordare?
Voglio ricordare tra tutti Marco Bichi, una persona a me particolarmente cara. Amava il suo quartiere in maniera viscerale, ha vissuto tutti i momenti peggiori ed è campato troppo poco per godersi le soddisfazioni. Il suo purtroppo breve percorso è stato avaro di gioie e prodigo di squalifiche, denunce ed amarezze di ogni genere. Oltremodo polemico non perdeva occasione di leticare in maniera furibonda con qualsiasi dirigente dell’epoca e credo che chiunque avesse allora una carica lo detestasse. Le feste in musica, il circolo de’ ghibellini sono state idee sue ed i pregiostra grandiosi di oggi sono in buona parte suo merito. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, lui non ha potuto vederli ma il merito di intuizioni così “AVANTI ” non glielo potrà mai togliere nessuno.
Giudizi sulla Giostra di oggi? Ti piace? Sei contento di tutta questa partecipazione? Cosa cambieresti?
A me la Giostra di oggi piace, e pure tanto. Vedo che sono in buona compagnia visto la partecipazione sempre maggiore, altra cosa che mi riempie di gioia. Mi si potrebbe obbiettare che essendo un colombaccio sono influenzato dai risultati, ma onestamente credo che il paragone tra passato e presente sia impietoso. Ovviamente tutto si può migliorare, ma credo che si parli di tecnicismi, di particolari da addetti ai lavori, il pacchetto in generale mi pare di grande valore. Poi ci sono le chiacchiere ricorrenti sui tempi morti, che sento fin da bambino, su razze equine più adeguate e varie amenità che servono più a fare le trasmissioni sulla Giostra che alla Giostra stessa. La Giostra è una gara di bravura ma anche di strategia, tattica e perché no, furbizia. In una competizione del genere i tempi morti, se sono funzionali ad una strategia non possono essere evitati, non si può far diventare una partita a scacchi come una gara di motogp, così come non puoi farla diventare un concorso ippico. Ci sono comunque anche aspetti che non mi piacciono, prima tra tutte la consegna della lancia, che da quando è stata tolta dalla tribuna ha perso gran parte del suo fascino e lì dovrebbe tornare secondo me. Il popolo del quartiere vincitore ha diritto al suo giubilo e se c’è un problema di sicurezza con la tribuna d’onore sposti la tribuna d’onore, non la consegna della lancia. Di passerelle per politicanti ce ne sono tutti i giorni, di giostre ce ne sono due all’anno, non credo che stare un poco defilati due volte l’anno inficerebbe la loro popolarità o li farebbe calare nei sondaggi. Anche il corteo storico per i cavalli, soprattutto per quelli da parata mi sembra una violenza gratuita nei loro confronti, ma anche quelli da giostra non mi sembrano particolarmente contenti di essere gettati in questo marasma. I cavalli ed i loro cavalieri potrebbero andare direttamente in San Niccolò e da lì entrare direttamente in piazza. In altre manifestazioni si fa così è non mi sembra che lo spettacolo ne risenta. Si eviterebbe un inutile stress ai cavalli, che sono lì perché ce li portiamo noi, e pure ai giostratori che potrebbero prepararsi alla gara in tutta tranquillità ( senza contare il fatto che, specie in dei punti della città, se un cavallo si incazza veramente potrebbe finire molto male). Mi si potrebbe obbiettare che ci sono tradizioni da rispettare e cose così, ma credo che per fare un ulteriore salto di qualità dovremmo acquisire la consapevolezza di non essere più una rievocazione ma una festa storica, che non rievoca alcunché, viene dal passato ma vive nel presente e pure senza snaturarsi si evolve in continuazione, adattandosi alle esigenze della contemporaneità.
Qualcosa che non ti ho chiesto ma che vuoi aggiungere?
Colgo l’occasione per ringraziare tutti voi di Corrergiosta per il vostro lavoro e per avermi dato la possibilità di raccontare un po’ del mio percorso nel mondo del Saracino.
Leonardo Maccioni